Ippocampo come commutatore tra
percezione e memoria
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 18 dicembre
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
L’ippocampo, che si impara ad associare alla
memoria fin dall’inizio degli studi medici perché una sua lesione è in grado di
causare amnesia e interferire con vari processi necessari all’apprendere e al
ricordare, è una piccola struttura dell’encefalo che ha attratto da sempre l’interesse
dei ricercatori e, per numero di studi, si può considerare secondo solo alla
corteccia cerebrale.
L’anatomia descrittiva del cervello umano, da molti
considerata solo una generica base di cultura medica, vista la preponderante
importanza del ruolo delle reti neuroniche e dello studio molecolare dei
fenomeni sinaptici rilevanti per le funzioni del sistema nervoso centrale, è
invece anche un aiuto all’elaborazione cognitiva delle conoscenze, in quanto
fornisce basi per la memoria visiva che ci aiuta a distinguere,
ricordare e inquadrare i concetti.
Ancora più efficace, per l’effetto impressivo sulla
memoria visiva della realtà, è assistere allo studio settorio
del cervello in necroscopia. Dopo aver visto anche una sola volta l’ippocampo
umano nella dissezione di un encefalo, rimane un’impressione indelebile della
sua piccola dimensione, della sua particolarissima forma, della sua
collocazione difficile da descrivere se non facendo riferimento alle irregolari
strutture che lo circondano e lo nascondono allo sguardo. E sicuramente non lo
si può confondere con nessuna altra parte del cervello, così come non ci si può
meravigliare delle nuove connessioni che oggi si scoprono con parti contigue
nella complessa morfologia regionale, come accade a chi ne ha solo conoscenza
dai libri, dove le varie formazioni dell’encefalo sono sempre descritte come
separate, indipendenti o associate in capitoli che seguono la sistematica dell’anatomia
o i criteri della fisiologia classica.
Innanzitutto, è bene ricordare che questa struttura
a forma di cavalluccio marino, perciò della “Ippocampo”[1], è una circonvoluzione
cerebrale modificata, che si ripiega su sé stessa formando una parte più
sporgente e volumetricamente più espansa che corrisponde al ventre del
cavalluccio di mare, ma si continua con ripiegamenti che formano due tratti
detti subiculum e parasubiculum,
e, se la consideriamo dalla parte del margine concavo, vi troviamo il giro
dentato dell’ippocampo o fascia dentata, importantissima per la
memoria in continua formazione, e perché costituisce la principale delle tre sedi
di neurogenesi cerebrale in età adulta, le altre due essendo la parete sub-ventricolare
e il bulbo olfattivo.
Il giro dentato è accolto nell’angolo diedro
formato dalla fimbria, che sta sopra, e il giro dell’ippocampo, che sta sotto. Sollevando
la fimbria, si vede il giro dentato, che appare come un cordoncino grigio-beige
o grigio-rossastro, aderente all’ippocampo col margine esterno. La superficie
libera presenta da dodici a venti incisure verticali, che producono altrettante
piccole sporgenze che conferiscono il caratteristico aspetto dentato.
L’ippocampo è considerato una formazione dell’archipallio,
che si estende attorno al peduncolo cerebrale e al corpo calloso: la parte
inferiore, detta ippocampo ventrale, gira attorno allo splenio e si
continua sulla faccia superiore del corpo calloso, formando la fasciola cinerea
e le strie longitudinali, e in tal modo costituendo l’ippocampo dorsale.
L’ippocampo ventrale appare poco in superficie, perché corrisponde allo
spessore della parete cerebrale. È interessante notare che la sua corteccia,
che appartiene all’archipallio, in termini filogenetici, è in continuazione
con quella del giro paraippocampico, che invece ha la tipica struttura della
neocorteccia o neopallio. Fra le due, esiste una zona di passaggio dove
si nota all’osservazione microscopica che i caratteri del neopallio si vanno
progressivamente modificando: la parte più laterale è denominata presubicolo, quella posta più all’interno è detta subicolo. Dal subicolo si
passa bruscamente alla struttura della corteccia ippocampica.
Nell’ippocampo, Kölliker
distinse tre lamine, denominate prima, seconda e terza lamina,
ma si tratta di una distinzione che ha solo interesse topografico,
strutturalmente si vedono le lamine ventrale e dorsale corrispondere alla
corteccia ippocampica, e quella terminale, anche se a
struttura ippocampica, intimamente unita alla
corteccia del giro dentato.
Spero che questo breve richiamo di anatomia, anche
se non suffragato da illustrazioni, possa aver suscitato la formazione di
qualche immagine mentale e, nei colleghi, la rievocazione di nozioni di
neuroanatomia.
Gli autori di uno studio che ha riconosciuto un
altro ruolo all’ippocampo accanto a quelli già noti, introducono la loro
ricerca presentando il caso in cui una persona avvisti un viso noto tra i partecipanti
a una conferenza, e voglia identificare il conoscente, sforzandosi di ricordandone
il nome prima che questi si avvicini, e senza leggerlo sulla targhetta appuntata
sul petto. Ecco, questo è un esempio di una circostanza in cui portiamo
rapidamente il focus cerebrale dall’informazione esterna, costituita
dallo stimolo percettivo del viso della persona, alle rappresentazioni
mnemoniche interne nelle quali si spera di trovare il nome della persona.
Questa commutazione di stato funzionale è attribuita, da Matthias
S. Treder e numerosi colleghi coordinati da Bernhard Staresina, a una specifica attività ippocampale, indagata
con successo nello studio qui recensito.
(Treder M. S., et al., The
hippocampus as the switchboard between perception and memory. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 118 (50) e2114171118 – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas. 2114171118, 2021).
La provenienza
degli autori è la seguente: School
of Computer Science and Informatics, Cardiff
University, Cardiff (Regno Unito); School of Psychology
and Centre of Human Brain Health, University of
Birmingham, Birmingham (Regno Unito); Princeton Neuroscience Institute,
Princeton University, Princeton, NJ (USA); Department of Psychology,
Princeton University, Princeton, NJ (USA); School of Medicine, University
Francisco de Vitoria, Madrid (Spagna); e numerosi altri istituti delle
università citate e delle University of Oxford, University of Glasgow, University
of Madrid.
Il richiamo di memoria adattativo richiede un
rapido e flessibile passaggio da evocatori percettivi esterni a
rappresentazioni mnemoniche interne, con un intervento della corteccia
cerebrale e dell’ippocampo, ma, a causa di limiti di risoluzione temporale o spaziale
delle metodiche di neuroimmagine cerebrale usate isolatamente, le dinamiche
ippocampo-corteccia a supporto di questo processo rimangono ignote. Per
superare questo problema, gli autori dello studio hanno usato un paradigma di
richiamo-suggerito di oggetto-scena in due studi, includendo l’elettroencefalografia
intracranica (iEEG) e l’EEG dallo scalpo ad alta
densità.
Un sostenuto aumento di energia gamma alta (da 55 a
110 Hz) è emerso 500 ms dopo l’apparire dello stimolo-traccia, e tale aumento
di gamma distingueva le rievocazioni efficaci e riuscite da quelle inefficaci.
L’aumento dell’attività elettrica gamma per le rievocazioni riuscite era
seguito da un decremento dell’attività alfa (8-12 Hz)[2].
Rilievo interessante è che l’attività gamma
ippocampale aumentava marcatamente al momento in cui i pattern di
attivazione extra-ippocampale passavano dalla traccia percettiva a un obiettivo
di rappresentazione mnemonica. In parallelo, l’attività alfa EEG localizzata
alla fonte rivelava che il segnale progredisce dall’ippocampo alla corteccia
parietale posteriore e poi alla corteccia prefrontale mediale.
Presi insieme, questi risultati identificano l’ippocampo
come la centralina di commutazione tra la percezione e la memoria, e
chiariscono le conseguenti dinamiche ippocampo-corteccia a supporto del
processo di rievocazione.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-18 dicembre
2021
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2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] È impressionante il numero di
tentativi vani, infruttuosi e fantasiosi, di spiegarsi il significato
attraverso un’etimologia “a orecchio” della parola latina hippocampus,
da parte di ignoranti autori di lingua inglese che, evidentemente, non hanno
mai letto un trattato classico di anatomia.
[2] Questo valore di frequenza dell’alfa
classico, non si considera più corretto: in neurologia 8 Hz da decenni è
considerato un sub-alfa, e attualmente, per il giudizio clinico dell’EEG, si considera
9-13 Hz il range fisiologico.